Foto di Stefano Spangaro - Cral Voltois

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Vita genuina di montagna ... Voltois UD

mercoledì 20 febbraio 2008

Polenta










LA STORIA DELLA POLENTA
La polenta è il cuore della casa veneta, il simbolo popolare della sua cucina; nel Veneto, si sono sperimentate tutte le variazioni gastronomiche possibili della polenta.
A Venezia esistevano dolci rustici, molto comuni, fatti con farina gialla prima della scoperta dell'America e a metà del XVI secolo, in Friuli, si fa la polenta con il "grano saraceno".
Queste due realtà ci inducono a pensare che il famoso mais (mahiz, lo chiama Colombo, imparando il termine degli indigeni dell'isola Hispaniola) sia arrivato nel Veneto attraverso i traffici veneziani con l'Oriente, in tempi remoti.
Le prime coltivazioni di mais si ebbero trent'anni dopo la scoperta dell'America, in Andalusia, per opera di agricoltori di origine araba che lo usavano come mangime per gli animali. Dal Golfo di Biscaglia, il mais si diffonde nel XVII secolo in tutta Europa, anche per la spinta che viene dai coloni americani, e si espande lungo una fascia precisa, attraverso la Spagna, la Francia, l'Italia, i Paesi danubiani, l'Ucraina, fino al Caucaso. Più a nord, il clima era troppo freddo, più a sud troppo secco. La preparazione è ovunque la stessa: si fa cuocere la farina gialla in acqua o brodo, vi si aggiunge, alla fine, burro, latte, formaggio, sughi e carne.Le attuali ricette della polenta impastizada, della polenta infasolà, della polenta onta, ecc., si rifanno a questo antico uso, derivato dalla maniera di preparare la puls romana.
La parola "polenta", infatti, conserva la sua origine latina, puls, plurale pultes. Allora, la polenta era fatta con il farro, un cereale più grosso e duro del comune frumento, e non offriva la consistenza della polenta di farina gialla. Si condiva con latte, formaggio, carne di agnello, oppure con salsa acida e maiale.
La puls era conosciuta in tutta l'area mediterranea e Apicio ci parla della puls punica, fatta con farina, formaggio fresco, miele e uova. Lo stesso autore ci riporta la preparazione delle pultes julianae, le polente friulane e venete con la spelta o il panico, con l'aggiunta di olio o latte, formaggio e sughi di carne.
Nel De honestate voluptate et valetudine del Platina, alla fine del XV secolo, ritroviamo la polenta di farro. La torta si otteneva mettendo in padella, in teglia, a strati, polenta e condimenti, con una "spolverata" di zucchero e acqua di rose.
La polenta di granoturco risolve subito i molti problemi alimentari delle popolazioni povere, fino a quando, nella metà del XVIII secolo, non apparve la pellagra, causata, si disse, dal continuo consumo di polenta. "Ci sono voluti decenni, si è dovuto arrivare a questo secolo prima di capire che la pellagra era conseguenza di una mancanza di vitamine" (Carnacina Buonassisi) e si riconobbe l'antica saggezza dei Maya e degli Incas, che avevano fatto del mais la base della loro alimentazione ma vi univano quanto vi mancava.
Tratto da:
Veneto.net "
La storia della polenta," testo tratto da La cucina tradizionale veneta di Dino Coltro Ed. Newton Compton.


POLENTA
Un po' di poesia sulla polenta:
“…la polenta non è solo vivanda; è paesaggio, memoria, offerta rituale. È un piccolo sole domestico che restituisce tutto il sole con cui in estate è cresciuta la pannocchia…
Né può essere consumata in solitudine poiché è cibo conviviale, da dividere in famiglia o con gli amici, perché non sopporta le piccole dimensioni, quasi vi fosse una legge non scritta tra proporzione e sapidità.
E del resto già nel prepararla si sviluppa intorno al fuoco un clima di eccitazione... e nonostante il nome così poco altisonante questo panettone dorato acquista ogni volta, appena versato sul tagliere rotondo, una forza ancestrale, uno splendore antico, una benedizione divina, come se ogni polenta arrivasse dalla notte dei tempi.
” Carlo Castellaneta


Nell'ottocento e novecento, i versi, anche illustri, si sprecano, basta pensare alla calda immagine del notissimo Arrigo Boito, che in un dialetto veneto ibrido descrive l'inizio della stupenda fusione tra l'acqua e la farina che par d'oro fin:...
principia l miràcolo... /
se vede de drénto /
levàrse una brómbola /
d'arzento, d'arzento; /
po subito n antra /
la vien a trovar /
e l aqua ne l fondo, /
scomìnzia a cantàr. /
La canta, la ronfa, /
la subia, la fuma, /
de qua la se s-giónfa, /
de la la se ingruma....
CURIOSITA':
L'elogio alla polenta di Arrigo Boito è stato scritto dal poeta sui tavoli del ristorante "Alla Corona" di Dolo, vicino a Venezia, ai piedi del secondo campanile veneto per altezza, dopo quello della Basilica di San Marco.


BASI per FARE la POLENTA
Ingredienti per ogni lt (litro) di acquaPolenta soda e asciutta: 300 gr. di farina di mais, salePolenta di media consistenza: 250 gr. di farina di mais, salePolenta morbida: 200 gr. di farina di mais, sale
Rimestare la polenta non comporta un gran sacrificio, la polenta deve anche riposare in modo che cuoccia bene e l'acqua si asciughi.Quando la rimesti con la mescola, dai il colpo finale come per spaccarla a metà, in questo modo la polenta cuoce meglio anche in mezzo e si amalgama omogeneamente.All'inizio lascio il fornello alto ... speta:- quando l'acqua salata è in ebollizione (ancora non bolle), metto la farina e contemporaneamente sbatto bene con la frusta a mano- appoggio sopra al paiolo la retina spargifiamma in modo che non schizzi in ogni dove- appena la farina si è ben gonfiata e di blob non ce ne sono più, tolgo la retina e do la prima mescolata- da qui parto a mescolare di tanto in tanto, dando sempre la spaccata che ti ho descritto, ogni volta che finisco di girare- il fuoco alto all'inizio serve per lasciar formare una bella crosticina sulle pareti del paiolo (e del resto se ci fai caso, anche quando il paiolo è immerso a metà nella cucina a legna, in principio il fuoco è alto e poi verso la fine mettono uno stecchetto ogni tanto)- lascio il fuoco alto per una ventina di minuti circa- la cottura avviene dai 45 minuti in su- trattandosi di un paiolo antiaderente, una volta capovolta la polenta sul tagliere, riesco, con le mani ad estrarre la crosta tutta intera che mi rimane a forma di paiolo.Molto spesso presento in tavola questa forma con dentro l’umido che ho preparato, facendo un figurone, ed è così che la presento ai miei amici in montagna.

2 commenti:

germana ha detto...

Bellissima dissertazione sulla "Polenta"!!!
Meno male (non solo i romani) anche un po' di cremonesità (Platina) mi fa piacere. Alla facccia del campanilismo.
un bacione e mandi mandi

Enrico Grazioli ha detto...

Sto giusto scrivendo anche io un post sulla polenta, con l'arrosto. Però, vogliamo parlare della crosta? Un piacere unico, ottimo per iniziare a tastare il "tocio". Pensa che c'è chi mette dei grassi nella cottura, così la crosta non si forma.