Nonostante io sia milanese di adozione da ormai 60 anni, non vi ho ancora parlato del nostro classico
" Risott giald à la milanese " o per lo meno ve lo avevo raccontato sotto un'altra veste con una ricetta che usavo di tanto in tanto ... ma da quando ho ritrovato la ricetta che mi aveva regalato la mia vicina di casa, milanese doc, ho ripreso a farlo così.
Bello caldo, colorato, buono fatto con tutti i sacri crismi ... eee, mi raccomando il midollo non deve mancare
altrimenti rimane un risotto eretico.
Preferisco il riso Carnaroli per questo risotto ma i meriti di una buona riuscita, valgono anche per gli altri due tipi di riso ... è solo questione di gusti.
RISOTTO alla
MILANESE
per
6 porzioni
400 g riso Vialone, Arborio o Carnaroli
90
g di burro
midollo
di bue
½
cipolla bianca o ramata
½
cipolla
1 bicchiere di vino bianco secco
1
bustina di zafferano ... a volte me ne scappano due per dare un bel colore giallo
50
g di parmigiano grattugiato
brodo
di carne più buono è e meglio è.
In
una casseruola dai bordi alti inserire la cipolla affettata sottilmente, il
midollo tritato e 60 g circa di burro.
Rosolare
a fuoco basso ed evitare che la cipolla prenda colore.
Aggiungere
il riso e lasciarlo tostare con i grassi, mescolando spesso con un cucchiaio di
legno per qualche minuto.
Versare
il vino e appena è evaporato unire brodo bollente pieno piano man mano che il
precedente brodo è stato assorbito.
Il
risotto deve cuocere “all’onda”, ovvero i chicchi devono essere cotti al dente
e non devono essere attaccati uno all’altro.
Il
risultato finale deve essere un riso cremoso.
Aggiungere
lo zafferano solo poco prima di togliere il riso dal fuoco, il burro rimasto a
pezzetti e il parmigiano per la mantecatura.
Servire
molto caldo con formaggio grattugiato per chi ne gradisce ancora.
Ecco come è nato il piatto tipico meneghino.
La pianta era usata fin dall'antico Egitto ed era simbolo di benessere e prosperità.
Ecco la famosa quanto semplice ricetta del cosiddetto risotto alla milanese, o, come lo chiamano i milanesi, risòtt giald, che deve la sua fortuna a un particolare ingrediente, lo zafferano, una pianta il cui fiore, di un colore che varia dal lilla chiaro al viola purpureo, contiene tre fili rossi, da cui si ricava la caratteristica polvere, usata nell'industria dei liquori, come condimento, ma anche come digestivo e stimolante nervoso.
I paesi dove si coltiva sono la Persia, l'India, la Spagna e la Grecia.
Il nome zafferano deriva dall'arabo zaafaran; i latini, invece, lo conoscevano sotto il nome di crocus, genere di pianta che secondo la mitologia greca ha avuto origine dall'amore di Croco per la ninfa Smilace, a cui si erano opposti gli dei, che trasformarono lei nella pianta del tasso e lui in quella dello zafferano.
Secondo la tradizione romana, invece, Mercurio, dio del commercio, durante una gara di lancio del disco colpì involontariamente il suo amico Croco e, affinché gli uomini non lo dimenticassero, fece tingere del suo sangue il fiore dello zafferano.
La sua diffusione è seguita all'invasione della Spagna da parte degli Arabi (756 d.c.), che cominciarono a commerciarlo con gli altri paesi che si affacciavano sul Mediterraneo.
Essendo ancora una spezie rara e pregiata, leggi molto rigide vietavano l'esportazione dei bulbi di zafferano dalla Spagna, che così ne mantenne il monopolio commerciale, fino a quando, sotto il regno di Filippo II (1527-98), un padre domenicano, tal Santucci, riuscì a sottrarne piccole quantità che portò nella sua terra d'origine, l'Abruzzo.
Già sotto gli Sforza, lo zafferano faceva la sua comparsa negli eleganti banchetti milanesi (dove, tra l'altro, era diffusa l'usanza di ricoprire con una sottile foglia d'oro le vivande servite a tavola), ma la leggenda vuole che, soltanto nell'anno 1574, fu utilizzato in modo del tutto casuale nella preparazione del famoso risotto giallo, detto da allora alla milanese. Secondo un manoscritto che oggi si trova alla biblioteca Trivulziana, infatti, Mastro Valerio di Fiandra, fiammingo di origine, all'epoca lavorava alle vetrate del Duomo di Milano (sue quelle di Sant'Elena), affiancato da un assistente che aveva soprannominato Zafferano, per la sua mania di mescolare un po' di giallo in qualunque tinta usasse.
Per scherzare, un giorno il maestro gli disse che continuando così avrebbe finito per mettere del giallo anche nel risotto.
Zafferano lo prese in parola e il giorno delle nozze della figlia di Valerio, si accordò con il cuoco incaricato del banchetto e fece aggiungere dello zafferano al riso, di solito condito con il solo burro.
La ricetta ebbe successo, grazie non solo al gusto saporito dello zafferano, ma anche al suo colore giallo oro, sinonimo di allegria e quindi adeguato alla circostanza.
In Italia le sole zone dove si produce lo zafferano sono la Sardegna e le terre intorno a L'Aquila; per questo da sempre i milanesi chiamano la famosa polverina zafferano d'aquila, alimentando la falsa credenza che abbia qualcosa a che fare con i rapaci; la convinzione si è talmente radicata che, nei negozi, si è cominciato a pubblicizzarlo con un falchetto impagliato.
La tradizione vuole che lo zafferano, fin dall'antichità, fosse simbolo di ricchezza materiale e spirituale, nonché sinonimo di benessere, abbondanza, gioia e serenità; inoltre, secondo più di una cultura, la sua particolare sfumatura di colore è associata all'immortalità.