Foto di Stefano Spangaro - Cral Voltois

Foto di Stefano Spangaro - Cral Voltois
Vita genuina di montagna ... Voltois UD

venerdì 18 dicembre 2015

Cocuzze siciliane in padella






Uffa, ancora zucchine ???
Sì caro, fai il bravo ... lo sai che le nostre cocuzze siciliane hanno proliferato parecchio e ora ho bisogno di fare un pò di spazio nel congelatore.
E va bene, speriamo che finiscano presto ... ma guarda che l'anno prossimo ne seminiamo solo una o due piante sai ???
Come vuoi ... e intanto mangia tranquillo.


COCUZZE SICILIANE in PADELLA
per 2 porzioni

zucchine congelate ... provvista dell'estate
50 g pancetta affumicata a quadretti
1 spicchio di aglio
burro

Rosolare la pancetta in un poco di burro e l'aglio tritato finemente.
Appena la pancetta prende colore, versare nel tegame le zucchine surgelate e coprire immediatamente con il coperchio per evitare schizzi.
Appena la zucchina inizia a fare la sua acqua di vegetazione, togliere il coperchio e cuocere a fuoco più o meno alto, in modo che le zucchine cuociano uniformemente senza troppo condimento.
Lasciar prendere un pò di colore alle zucchine e servire.

Come accompagnamento c'era  un poco di Brovada con Muset
La ricetta della brovada c'è già nel blog

mercoledì 16 dicembre 2015

Risotto alla zucca









Ecco il cibo semplice che gradisce Orsomio, senza tanti fronzoli e men che meno spezie.
Io al contrario gradisco un poco di piccante e quindi aggiungo pepe o peperoncino a fine cottura, quando ormai ho il cibo nel piatto.
Lo so, non è la stessa cosa, ma per evitare mugugni, preferisco fare così. Diversamente se devo cucinare in due modi diversi, a lui preparo semplice semplice e per me con tutte le spezie che mi aggradano.
Forza ragazzi, finchè è il tempo delle zucche, sbizzarritevi di ricette ce ne sono tante.


RISOTTO alla ZUCCA
per 2 porzioni

200 g di riso (carnaroli, arborio, vialone nano (quello che mi capita)
1 fetta di zucca
50 g speck di Sauris a cubetti
burro il necessario
formaggio montasio grattugiato
1 dado per brodo vegetale (preparare il brodo)

Dalla fetta di zucca decorticata, ricavare dei cubetti piccoli.
In un tegame rosolare piano piano, lo speck con metà della zucca e portarla avanti nella cottura con qualche goccio di brodo vegetale aggiunto di tanto in tanto.
Rosolare il riso, aggiungere la rimanente zucca e iniziare la cottura con il brodo vegetale.
In cottura la zucca quasi cotta si disfa, mentre l'altra si mantiene a tocchetti.
A fine cottura aggiungere una buona manciata di formaggio grattugiato e un bel pezzetto di burro.
Lasciare mantecare e servire caldo con una ulteriore spolverata di formaggio e pepe per chi lo gradisce.

domenica 13 dicembre 2015

13 dicembre S.Lucia



Bene, è da tanto che mi dicono che l’annite influenza ricordi lontani ma che sono sempre vicini e vengono a galla quando meno te lo aspetti.
Ho cambiato casa e regione alcune volte, ho imparato usanze e costumi di altre genti e ho potuto conoscere la tradizione di S. Lucia.
A Trento la tradizione di Santa Lucia è molto sentita e il primo anno una nuova amica mi aveva regalato un paio di piccoli zoccoli, perché sapeva che avevo iniziato una collezione di questi zoccoletti.

13 DICEMBRE S.LUCIA

Tutto è partito domenica scorsa, la mia amica Nazaria mi ha regalato un prezioso libretto di mestieri in via di estinzione, scritto dal suo papà:
    “MALVIS E STIELIS - Giovanni Zatti ”.
Caso vuole che appena ho aperto il libretto a caso, si è aperta la pagina
IL DÀLBIDAR, colui che costruiva gli zoccoli:

Foto ripresa dal libro - fatta io

Il Dàlbidar è così chiamato l’artigiano costruttore di “dàlbidis” o “scroi”, specie di calzature in un unico pezzo di legno, privo di incollature di sorta.
L’addetto sceglieva personalmente nel bosco, le piante idonee, con il giusto diametro, adatto per sagomare il pezzo nelle dimensioni volute, ed evitare la scheggiatura e sgrezzatura.
Legname usato
Le essenze latifoglie preferite erano:
acero montano         àjer o àer                      acer pseudoplatanus
acero riccio              clem                              acer platanoides
ontano                      àl                         alnus glutinosa
pioppo                      pòul                    populus alba
betulla                      bedòl                             betula alba
noce                          nujâr o cocolâr            juglans regia
Di quest’ultimo si usava solo l’alburno più tenero e leggero del restante legno “blancùm di nujâr”.
La parte ottima, la più ricercata, era la più bassa del tronco, la più vicina all’apparato radicale, che non presentava possibili spacchi né incrinature radiali del legno.
Dall’acero montano e dall’acero riccio si ricavavano, grazie alla bianchezza del legno “lis dàlbidis di fiesta” e “li sdàlbidis di cjàsa”.
Le altre essenze più tenere, venivano impiegate per calzature da usarsi nei campi e nei lavori di stalla.
Quelle fin qui descritte venivano chiamate “dàlbidis di planèla”.
Sui pendii erbosi e nei lavori boschivi si calzavano “lis dàlbidis di glacìns”.
Erano più robuste delle altre, sempre di acero, e nella parte di contatto col terreno, avevano delle tacche, una in corrispondenza della regione avanzata tarsiale, l’altra al calcagno.
Evidenziavano un ferro a tre punte applicate alla tacca anteriore e uno a due punte in quella posteriore. Questi ferri erano chiamati “glacìns”.
Talora veniva installato un chiodo, in corrispondenza dell’arcata del piede “sfals dal pît” che serviva a tenere un’agevole equilibrio sulle piante e sui tronchi al momento della sezionatura.
Nelle “dàlbidis di planèla”, ad evitare il logorio delle tacche, veniva applicato un pezzo di suola di vecchi “scarpets” e negli ultimi tempi sottili suole di gomma zigrinata.
Con questo sistema era possibile evitare anche lo slittamento nei transiti sul ciottolame “codolât” o su tratti gelati.
La tenuta del piede era assicurata da una striscia di cuoio “il traìn” che, inchiodata trasversalmente da una sponda all’all’altra della “dàlbida” tratteneva il piede senza che ci fosse il pericolo di sfilamento della calzatura.
Il “traìn" era normalmente di pelle di vitello che, data la morbidezza, si adattava maggiormente di altri cuoi alla flessione del collo del piede. (seguono poi tutte le fasi di lavorazione, con attrezzi vari che qui non vi iporto).
Testo preso integralmente dal libro del Signor Giovanni Zatti, 
regalatomi dalla figlia Naszaria

 foto presa dal web

  foto presa dal web

  foto presa dal web

 Grazie a questo, vi riporto un ricordo della mia infanzia, quando ancora gli zoccoli erano in auge.
Sin qui abbiamo parlato di una realtà montana, ma io che sono nata in pianura in mezzo alle risaie, ricordo che tanti anni fa in campagna erano soliti calzare “i socal” (in dialetto lomellino).
Non c’era nessuna differenza, cambia il nome dialettale ma la modalità di lavorazione era uguale.
Noi bambini cordialmente li odiavamo perché se non si prestava attenzione, si rischiava di procurarsi qualche bella botta ai malleoli e quindi viaggiavamo allegramente a piedi scalzi.
Quando gli adulti rincasavano dal lavoro, si udivano i loro passi provocati dallo scricchiolio degli zoccoli sulla strada sterrata.
Tanti anni fa l’inverno era duro, le nevicate copiose ma i “socal” riuscivano ad isolare i piedi dall’umidità. Riparando poi i piedi con calzini pesanti di lana lavorati ai ferri, i piedi si riscaldavano maggiormente.
In quelle gelide sere invernali, noi piccoli eravamo a letto molto presto, ma altrettanto presto ci alzavamo al mattino per correre svelti vicino al fuoco del camino che alle 5 già scoppiettava.
Ricordo la frugale colazione che facevano il nonno e gli zii … polenta e latte fresco della mungitura della sera prima.
Gli zoccoli del nonno erano insieme a quelli degli zii accanto al camino a riscaldarsi.
Poi c’era un rituale che mi è rimasto sempre impresso.
Nonna seduta su uno sgabellino che metteva una pezza appoggiata a terra con sopra del fieno secco, il nonno, che già indossava le calze pesanti, appoggiava un piede, nonna glie lo avvolgeva  e poi lo aiutava ad infilarlo nello zoccolo e così anche per l’altro.
Poi nonna si alzava, si salutavano e il nonno partiva per i lavori dei campi.
L'amore e l'attenzione che c'erano in questi gesti erano straordinari e non li ho mai dimenticati.


 Se vi capita, leggete anche il libro L’albero degli Zoccoli di Ermanno Olmi, da cui è stato tratto un bellissimo film che ha avuto tanto successo decenni fa.


Fotografie mie
































Vi auguro una buona lettura, sicura che molti di voi ricorderanno quei tempi.