Le oche, sono una risorsa preziosa delle fattorie e dei
contadini della Lomellina fin dai tempi antichi, grazie alla ricchezza di
acqua fresca e all'abbondanza di erba tenera.
Le oche non hanno grosse
pretese alimentari e si procurano da sole il cibo, con il pascolo, o razzolando
nei campi vicino alla fattoria appena mietuti o tra gli scarti di cucina,
patate cotte, legumi, barbabietole, foglie e altro ancora.
In compenso dell’oca, come
del maiale, non si butta via niente, e dopo cinque mesi è pronta per la
macellazione con tanta carne magra.
Questo è un pezzetto di storia, la Lomellina pur essendo in provincia di Pavia, si trova vicino al triangolo piemontese Casale Monferrato, Vercelli, Novara.
Le risaie non si contano e un tempo in ogni famiglia c'era un ben fornito pollaio che dava spazio a galline, anatre, oche, maiale ecc.
Anche mia nonna aveva qualche oca, una di solito era destinata alla famiglia, e le altre venivano vendute come scambio di moneta dopo la guerra.
Nonna Maria e nonna Marcella preparavano sempre il collo d'oca ripieno, che veniva consumato come secondo piatto, dopo aver fornito un eccellente brodo.
Da quando ho iniziato a cucinare da ragazzina e trovato il collo dal macellaio, l'ho sempre riempito in questo modo.
Mi dispiace, è una vecchia foto copiata dal web e non ricordo dove
COLLO
d’OCA RIPIENO
per
4 porzioni
1
collo d’oca
200
g di petto d’oca
1
salsiccia
2
uova
80
g formaggio montasio grattugiato
60
g pane grattugiato
latte
q.b.
10
g prezzemolo solo foglie
1
spicchio di aglio
sale
e pepe q.b.
Fiammeggiare
il collo d’oca, per ripulirla di tutto l’eventuale piumino.
Togliere
l’osso del collo, cercando di lasciare intera la pelle.
Lavare
molto bene, sia fuori che dentro e, con un grosso ago e filo forte, cucire l’estremità
del collo più piccolo.
Intanto
in una terrina mettere la carne dell’oca
possibilmente macinata, insieme alla
salsiccia sbriciolata, il prezzemolo con l’aglio tritati finemente e tutti gli
altri ingredienti.
Mescolare
accuratamente per amalgamare tutto e poi riempire il collo dell’oca, senza
pigiare troppo, per evitare che si rompa il salamotto in cottura.
Ora la potete cucinare come preferite, arrosto, stufata
con verdure oppure lessata.
Per lessarla, si mette il collo in una pentola che la
contenga, si copre d’acqua fredda e si mettono gli odori per il brodo, cipolla,
carota, sedano, si porta a ebollizione e si cuoce piano per circa 1 ora e ½ circa.
Si affetta tiepida e si serve con purè, con la zucca
arrosto o con insalata di stagione.
Nulla vieta di usare anche il collo della gallina o dell'anatra, secondo il ripieno che mettete, vi uscirà una leccornìa speciale
STORIA dell'oca
Se vi interessa ... a me è piaciuta, la trovate in : www.taccuinistorici.it
Il nome di questo animale proviene dal latino “auca”,
derivato da “avis” (uccello) ed i Romani lo curavano molto anche per la sua
carne e fegato grasso; sempre Plinio ci racconta che Messalino Cotta, figlio
dell’oratore Messala, riteneva tra le vivande più prelibate l’insieme di creste
di gallo e di zampe d’oca abbrustolite e spellate.
Durante il Medioevo il palmipede era simbolo dell'aldilà
e guida dei pellegrini. La sua zampa veniva usata come "marchio" di
riconoscimento dai maestri costruttori delle cattedrali gotiche che si
chiamavano "Jars", oca in francese. Sempre in questo perido l'animale
allevato anche nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava
Carlo Magno.
A favorire la diffusione dell'oca furono attorno al XV
sec. alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono,
provenienti dall'Europa del nord, nelle regioni settentrionale della penisola.
Per motivi religiosi non potevano consumare carne di maiale, così i loro
macellai preparavano deliziosi prosciutti e salami.
L'umanista rinascimentale Giulio Cesare Scaligero così
argomenta sulle oche: "sono il più bell'emblema della prudenza...
abbassano la testa per passare sotto a un ponte, per quanto elevati siano i
suoi archi... e sono così previdenti che quando passano sul monte Tauro, che è
pieno di aquile, si premurano, conoscendo il proprio carattere ciarliero, di
prendere ciascuna una pietra sul becco... per evitare di produrre dei suoni che
le farebbero scoprire dai loro nemici".
Fino ai primi del Novecento l'oca era ritenuta pure
moneta di scambio: con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai proprietari
terrieri una parte del dovuto, oppure la si scambiava con gli stivali come
ricorda la fiera di S. Andrea a Portogruaro nel Veneto, detta "Fiera delle
oche e degli stivali". Non vanno dimenticati i detti: "Oca, castagne
e vino, tieni tutto per S.Martino", oppure il venetissimo "Chi no
magna oca a S. Martin no'l fa el beco de un quatrin", che comfermano come
la ricorrenza di S. Martino fosse una specie di capodanno contadino.
Tradizionalmente l’oca è considerata un animale del quale
non si buttava via niente: pregiato il piumino, prezioso il grasso, apprezzata
la carne, ed è addirittura ritenuta un sostituto del maiale in molte regioni
d’Europa e d’Italia per la sua facilità d’allevamento, rapidità di crescita e
possibilità di conservazione. C'è da aggiungere che alle penne d'oca è legato
un profondo significato culturale: sono state infatti usate per scrivere almeno
mille anni prima d'essere sostituite da strumenti più moderni.
Forse fra gli ispiratori del salame d’oca ci furono le
comunità ebraiche, diffuse in Lomellina, che, si narra, ai tempi di Ludovico il
Moro commissionarono ai salumieri della zona salami e ciccioli d’oca, in
omaggio ai dettami della cucina kasher che non ammette il consumo della carne
di maiale. Le cronache locali citano il salame d’oca a partire dal 1780, quando
la Lomellina era parte del Regno del Piemonte.
L'origine di questo insaccato ha diverse interpretazioni,
quella maggiormente accreditata si basa sulla constatazione che la carne d'oca
da sola non bastava a soddisfare il gusto della maggioranza dei consumatori non
ebrei della zona e, probabilmente, alcuni maestri salumieri di Mortara
“inventarono” l'abbinamento con la carne di suino. Tale spiegazione dell'origine
del Salame d'oca proviene anche da una voce autorevole come quella di
Pellegrino Artusi il quale, nel trattato di arte culinaria “La scienza in
cucina e l'arte del mangiar bene” del 1891, riporta la testimonianza della
preparazione di un simile insaccato d'oca in Lomellina.
La diffusione e la vendita del salame è testimoniata solo
a partire dai primi del Novecento. Fece la sua apparizione perfino alla Seconda
Esposizione Internazionale di Parigi del 1913, grazie al salumiere mortarese
Carlo Orlandini.