Grande sorpresa per me questa mattina quando ho aperto la posta.
Da bloggher organizzate, mi arrivano i riferimenti dei loro post che io vado a consultare, e con grande sorpresa stamane ho trovato un post meraviglioso che è stato dedicato a me ed al mio paesino di montagna.
La bloggher è Libera del blog http://accantoalcamino.wordpress.com/2013/02/25/leggende-della-carnia-lorco-dispettoso-e-la-minestra-di-rape-dedicato-a-rosetta/.
Nel suo blog mi trovo bene, oltre alle belle ricette, ha sempre tanti bei racconti e aneddoti che mi fa piacere conoscere.
Grazie Libera, questa volta non ti ho chiesto il permesso per pubblicare leggenda e ricetta ma sono ormai certa che la tua insuperabile generosità, ti farebbe dire di sì. (ho copiato integralmente il tuo post)
Bucaneve dello zio.
Ho fatto abbastanza outing ed anche se ho deciso di allontanarmi un pò dal web non mi va, quando passo di qua, di trovare quel post che ha fatto il suo tempo e dal quale devo scivolare via in maniera indolore.
Come mi ha scritto una cara Amica: volta pagina, non chiudere il libro e qui la volto, con un’altra leggenda della Carnia, presa dal libro di
Raffaella Cargnelutti, lo stesso libro dell’
altro post .
Mi va di dedicarlo a
Rosetta che vive per molti mesi all’anno ad Ampezzo, paese della Carnia nel quale sono ambientate molte delle leggende contenute nel libro, è una persona gioiosa, semplice, senza tanti fronzoli e che va dritta all’essenza delle cose, è proprio la persona giusta, senza contare che ha dei nipotini ai quali raccontarle poi queste leggende, e così la storia si ripete, va avanti con lo sguardo all’indietro che va a posarsi sulle ginocchia di una nonna o di un nonno che, davanti al Fogolar raccontano di
maruf, salvans, aganas, mazzarots, e l’omenut di Cjanal.
L’orco dispettoso.
Nel paese di Ampezzo si faceva un gran parlare di un orco dispettoso che si divertiva a spaventare le donne. Compariva all’improvviso con la sua mole possente, il petto villoso, un grande cappellaccio in testa. Ne combinava di cotte e di crude, poi scappava via veloce come un fulmine, senza lasciar traccia.
I montanari si erano riuniti più volte nella casa del capo villaggio per decidere il da farsi e alla fine si erano risolti ad organizzare alcune ronde notturne per vigilare il paese. Nonostante ciò, non erano ancora riusciti a scovarlo e tantomeno a catturarlo. Così nel borgo la paura era tanta. E tutti stavano in grande apprensione.
Tutti, eccetto Gisella. Era una donna di mezza età che, nella vita, ne aveva viste di tutti i colori e all’orco… be’, più di tanto non ci credeva. Affrontava l’esistenza giorno dopo giorno, con semplicità e sicurezza, ma soprattutto a quelle chiacchiere faceva spallucce e di cambiare le sue abitudini non ci pensava proprio. Figuriamoci se avrebbe rinunciato la sera ad andare qualche ora in file a casa della sua comare Orsolina. Era quanto ci voleva per concludere la giornata in felice compagnia, assaporando quella minestra di rape, che la sua amica sapeva cucinare a regola d’arte e poi filare insieme e spettegolare in libertà.
Così una sera d’inverno, nonostante attorno serpeggiasse tra i montanari di Ampezzo la paura per l’orco e ci fosse un freddo polare, reso ancora più insopportabile da un vento gelido e pungente, Gisella si era avvolta ben bene in un pesante scialle di lana ed era uscita con passetti brevi e rapidi dalla sua casa.
La donna camminava guardinga, quando la luce della luna sparì all’improvviso. Cosa poteva essere successo? Alzò lo sguardo al cielo e… cosa vide? Una figura enorme copriva l’intero firmamento tenendo un piede sul tetto della canonica e l’altro dal’altra parte della via, mentre con le mani reggeva un grande fuso.
Il volto dell’energumeno aveva un’espressione burlona e guardava proprio Gisella che, pur colta di sorpresa, non diede a vedere il suo sconcerto e tirò dritta per la sua strada.
La donna lo aveva da poco superato quando sentì alle spalle un forte rumore. Si voltò di scatto e vide che il grande fuso era caduto a terra.
“Ben ti sta, disse lei pronta. E lui di rimando, con voce gentile: “Gisella, per favore, raccoglilo. Ah… te l’ho fatta!” e scoppiò a ridere.
La donna, comprendendo al volo che lui voleva burlarsi di lei – visto che era impossibile sollevare quel gran peso – rispose secca: “Ed io non mi muovo da qui se non mi dai tutto il filo che sta sul fuso”. Era una matassa enorme!
L’orco, dopo aver compreso che Gisella era stata più furba di lui e che lo stava prendendo per i fondelli, se ne scappò via veloce verso la Cleva, lanciando un urlo spaventoso che fece tremare tutte le case del paese.
“Sono io che l’ho fatta a te, stupido di un orco!” rispose lei soddisfatta.
E così dal borgo di Ampezzo l’orco non si fece più vedere.
Ed ora, senza foto, la ricetta della minestradi rape, per rimanere fedele al mio blog che s’intitola:
le ricette di ogni giorno con qualche storia intorno.
Foto di Libera ... rape messe a dimora in autunno nella vinaccia
Minestra con le rape acide (jote e broade)
Ingredienti per 4 persone:
- 300 g. di rape acide affettate (brovada),
- 1 bicchiere di latte,
- 1 cucchiaio di burro,
- 1 pezzetto di lardo (io metterei quello di Sauris, leggermente affumicato),
- 60 g. di farina di mais (io metterei quella Socchievina),
- 60 g. di farina di grano,
- 200 g. di fagioli lessi,
- sale e pepe.
Come fare:
gettare le rape acide in una pentola in cui sta bollendo il latte con il doppio dell’acqua, aggiungere un pizzico di sale e un cucchiaio di burro e far cuocere il tutto per una ventina di minuti.
A questo punto gettare nella pentola le due farine, spargendole a manciate, mescolare e continuare la cottura sempre mescolando per 40 minuti.
A questo punto, aggiungere alla zuppa i fagioli cotti e il lardo, tritato e rosolato a parte, amalgamare e servire caldo.
Note: questa zuppa in genere prende il nome di jota friulana e va distinta in
mesta laura, se contiene brovada da esserne quasi rassodata,
mesta pesta, se ha una quantità normale di brovada,
mesta scot, senza pesto di brovada.
Foto di Libera ... rape nella vinaccia e in primo piano rape pulite e grattate con la mandolina apposita.
In alcune zone dell’alta Carnia (Forni Avoltri, Collina ecc.), al posto della brovada si usa mettere talvolta i crauti, fatti di cavoli cappucci fermentati.
Non so se è questa la minestra di rape della “comare” di Gisella ma a me piace pensare di si e poi questa leggenda m’insegna che non bisogna credere nell’orco e non averne paura, si vive meglio…
Questa è la brovada, e cioè rape conservate, pulite, grattugiate e conservate in scatola oppure in montagna la trovo conservata in sacchetti di plastica ... foto del web