“Mandi, è il saluto friulano che equivale a ciao. Il significato si perde nella notte dei tempi e vorrebbe dire “nelle mani di Dio” ;ma forse è di origine precristiana, con la frase “nelle mani degli dei”. Nella lingua latina mandi vorrebbe dire: “La mano di Dio ti protegga” (“Manus Dei”) o, anche “Conservati a lungo!” (“Mane diu”) ed ancora dal latino “mane-diu” Vai nelle mani di Dio.” “che tu rimanga a lungo (su questa terra) ”. Mandi a dûc
Foto di Stefano Spangaro - Cral Voltois
venerdì 25 dicembre 2015
venerdì 18 dicembre 2015
Cocuzze siciliane in padella
Uffa, ancora zucchine ???
Sì caro, fai il bravo ... lo sai che le nostre cocuzze siciliane hanno proliferato parecchio e ora ho bisogno di fare un pò di spazio nel congelatore.
E va bene, speriamo che finiscano presto ... ma guarda che l'anno prossimo ne seminiamo solo una o due piante sai ???
Come vuoi ... e intanto mangia tranquillo.
COCUZZE SICILIANE in PADELLA
per 2 porzioni
zucchine congelate ... provvista dell'estate
50 g pancetta affumicata a quadretti
1 spicchio di aglio
burro
Rosolare la pancetta in un poco di burro e l'aglio tritato finemente.
Appena la pancetta prende colore, versare nel tegame le zucchine surgelate e coprire immediatamente con il coperchio per evitare schizzi.
Appena la zucchina inizia a fare la sua acqua di vegetazione, togliere il coperchio e cuocere a fuoco più o meno alto, in modo che le zucchine cuociano uniformemente senza troppo condimento.
Lasciar prendere un pò di colore alle zucchine e servire.
Come accompagnamento c'era un poco di Brovada con Muset
La ricetta della brovada c'è già nel blog
mercoledì 16 dicembre 2015
Risotto alla zucca
Ecco il cibo semplice che gradisce Orsomio, senza tanti fronzoli e men che meno spezie.
Io al contrario gradisco un poco di piccante e quindi aggiungo pepe o peperoncino a fine cottura, quando ormai ho il cibo nel piatto.
Lo so, non è la stessa cosa, ma per evitare mugugni, preferisco fare così. Diversamente se devo cucinare in due modi diversi, a lui preparo semplice semplice e per me con tutte le spezie che mi aggradano.
Forza ragazzi, finchè è il tempo delle zucche, sbizzarritevi di ricette ce ne sono tante.
RISOTTO alla ZUCCA
per 2 porzioni
200 g di riso (carnaroli, arborio, vialone nano (quello che mi capita)
1 fetta di zucca
50 g speck di Sauris a cubetti
burro il necessario
formaggio montasio grattugiato
1 dado per brodo vegetale (preparare il brodo)
Dalla fetta di zucca decorticata, ricavare dei cubetti piccoli.
In un tegame rosolare piano piano, lo speck con metà della zucca e portarla avanti nella cottura con qualche goccio di brodo vegetale aggiunto di tanto in tanto.
Rosolare il riso, aggiungere la rimanente zucca e iniziare la cottura con il brodo vegetale.
In cottura la zucca quasi cotta si disfa, mentre l'altra si mantiene a tocchetti.
A fine cottura aggiungere una buona manciata di formaggio grattugiato e un bel pezzetto di burro.
Lasciare mantecare e servire caldo con una ulteriore spolverata di formaggio e pepe per chi lo gradisce.
domenica 13 dicembre 2015
13 dicembre S.Lucia
Bene, è da tanto che mi dicono che l’annite influenza ricordi
lontani ma che sono sempre vicini e vengono a galla quando meno te lo aspetti.
Ho cambiato casa e regione alcune volte, ho imparato usanze e
costumi di altre genti e ho potuto conoscere la tradizione di S. Lucia.
A Trento la tradizione di Santa Lucia è molto sentita e il
primo anno una nuova amica mi aveva regalato un paio di piccoli zoccoli, perché
sapeva che avevo iniziato una collezione di questi zoccoletti.
13 DICEMBRE S.LUCIA
Tutto è partito domenica scorsa, la mia amica Nazaria mi ha
regalato un prezioso libretto di mestieri in via di estinzione, scritto dal suo
papà:
“MALVIS E STIELIS - Giovanni Zatti ”.
Caso vuole che appena ho aperto il libretto a caso, si
è aperta la pagina
IL DÀLBIDAR, colui che costruiva gli zoccoli:
Foto ripresa dal libro - fatta io
Il Dàlbidar è così chiamato l’artigiano costruttore di “dàlbidis”
o “scroi”, specie di calzature in un unico pezzo di legno, privo di incollature
di sorta.
L’addetto sceglieva personalmente nel bosco, le piante
idonee, con il giusto diametro, adatto per sagomare il pezzo nelle dimensioni
volute, ed evitare la scheggiatura e sgrezzatura.
Legname usato
Le essenze latifoglie preferite erano:
acero montano àjer o àer acer
pseudoplatanus
acero riccio
clem acer platanoides
ontano
àl alnus
glutinosa
pioppo
pòul populus
alba
betulla
bedòl betula alba
noce nujâr o cocolâr juglans regia
Di quest’ultimo si usava solo l’alburno più tenero e leggero
del restante legno “blancùm di nujâr”.
La parte ottima, la più ricercata, era la più bassa del
tronco, la più vicina all’apparato radicale, che non presentava possibili
spacchi né incrinature radiali del legno.
Dall’acero montano e dall’acero riccio si ricavavano, grazie
alla bianchezza del legno “lis dàlbidis di fiesta” e “li sdàlbidis di cjàsa”.
Le altre essenze più tenere, venivano impiegate per calzature
da usarsi nei campi e nei lavori di stalla.
Quelle fin qui descritte venivano chiamate “dàlbidis di
planèla”.
Sui pendii erbosi e nei lavori boschivi si calzavano “lis dàlbidis di glacìns”.
Erano più robuste delle altre, sempre di acero, e nella parte
di contatto col terreno, avevano delle tacche, una in corrispondenza della
regione avanzata tarsiale, l’altra al calcagno.
Evidenziavano un ferro a tre punte applicate alla tacca
anteriore e uno a due punte in quella posteriore. Questi ferri erano chiamati “glacìns”.
Talora veniva installato un chiodo, in corrispondenza dell’arcata
del piede “sfals dal pît” che serviva a tenere un’agevole equilibrio sulle
piante e sui tronchi al momento della sezionatura.
Nelle “dàlbidis di planèla”, ad evitare il logorio delle
tacche, veniva applicato un pezzo di suola di vecchi “scarpets” e negli ultimi
tempi sottili suole di gomma zigrinata.
Con questo sistema era possibile evitare anche lo slittamento
nei transiti sul ciottolame “codolât” o su tratti gelati.
La tenuta del piede era assicurata da una striscia di cuoio “il
traìn” che, inchiodata trasversalmente da una sponda all’all’altra della “dàlbida”
tratteneva il piede senza che ci fosse il pericolo di sfilamento della
calzatura.
Il “traìn" era normalmente di pelle di vitello che, data la
morbidezza, si adattava maggiormente di altri cuoi alla flessione del collo del
piede. (seguono poi tutte le fasi di lavorazione, con attrezzi vari che qui non vi iporto).
Testo preso integralmente dal libro del Signor
Giovanni Zatti,
regalatomi dalla figlia Naszaria
Sin qui abbiamo parlato di una realtà montana, ma io che sono
nata in pianura in mezzo alle risaie, ricordo che tanti anni fa in campagna
erano soliti calzare “i socal” (in dialetto lomellino).
Non c’era nessuna differenza, cambia il nome dialettale ma la
modalità di lavorazione era uguale.
Noi bambini cordialmente li odiavamo perché se non si
prestava attenzione, si rischiava di procurarsi qualche bella botta ai malleoli
e quindi viaggiavamo allegramente a piedi scalzi.
Quando gli adulti rincasavano dal lavoro, si udivano i loro
passi provocati dallo scricchiolio degli zoccoli sulla strada sterrata.
Tanti anni fa l’inverno era duro, le nevicate copiose ma i “socal”
riuscivano ad isolare i piedi dall’umidità. Riparando poi i piedi con calzini
pesanti di lana lavorati ai ferri, i piedi si riscaldavano maggiormente.
In quelle gelide sere invernali, noi piccoli eravamo a letto
molto presto, ma altrettanto presto ci alzavamo al mattino per correre svelti
vicino al fuoco del camino che alle 5 già scoppiettava.
Ricordo la frugale colazione che facevano il nonno e gli zii …
polenta e latte fresco della mungitura della sera prima.
Gli zoccoli del nonno erano insieme a quelli degli zii
accanto al camino a riscaldarsi.
Poi c’era un rituale che mi è rimasto sempre impresso.
Nonna seduta su uno sgabellino che metteva una pezza
appoggiata a terra con sopra del fieno secco, il nonno, che già indossava le
calze pesanti, appoggiava un piede, nonna glie lo avvolgeva e poi lo
aiutava ad infilarlo nello zoccolo e così anche per l’altro.
Poi nonna si alzava, si salutavano e il nonno partiva per i
lavori dei campi.
L'amore e l'attenzione che c'erano in questi gesti erano straordinari e non li ho mai dimenticati.
Fotografie mie
Vi auguro una buona lettura, sicura che molti di voi
ricorderanno quei tempi.
martedì 8 dicembre 2015
Baccala' di Zio Paperone
Baccalà, quanto lo amo ... questo è un ottimo periodo per portarlo in tavola, semplicemente bollito, impanato, in insalata, insomma è un ottimo pesce versatile che si gusta volentieri anche in umido con una polenta bella calda.
Questa volta ho voluto provare una preparazione pensata lì per lì. Il baccalà era poco, però una bella fetta di zucca mi faceva l'occhiolino.
Mi sembrava di essere Paperon dei Paperoni nel racconto della zuppa coi bottoni ^________^
Ma leggetevi la ricetta così capirete perchè l'ho chiamato baccalà di zio Paperone ... successo strepitoso.
BACCALA' di ZIO PAPERONE
per 4 porzioni
500 g baccalà salato
1 fetta di zucca
5 patate ottime di montagna
20 olive nere snocciolate
olio
sale pepe e 1 pizzichino di origano
Dissalare il baccalà e lasciarlo in ammollo per 24 ore perchè si riprenda, cambiando spesso l'acqua di deposito.
Portare a ebollizione l'acqua con il baccalà, abbassare la fiamma e cuocerlo 15 minuti.
Estrarlo con la schiumarola e appoggiarlo su un piatto a raffreddare.
Nella stessa acqua bollire le patate sbucciate, lavate e tagliate a pezzi. Le ho lasciate a bagno con acqua e aceto bianco per 1/2 ora, scolarle e cuocerle per il tempo necessario.
Estrarle con la schiumarola e conservarle in una terrina.
Nella stessa acqua cuocere la zucca tagliata a pezzetti.
Estrarla con la schiumarola e aggiungerla alle patate, e conservare l'acqua di cottura.
In una terrina mettere il baccalà disfatto, le patate e la zucca.
Mancava un tocco in più e quindi ho aggiunto le olive.
Ho condito con olio, sale e pepe e ho aggiunto mezzo bicchiere di acqua di cottura.
Mescolare ... manca qualche cosa ... ed ecco il tocco magico un pizzico di origano profumato.
Buono, buono da rifare molto presto.
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