Foto di Stefano Spangaro - Cral Voltois

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Vita genuina di montagna ... Voltois UD

venerdì 12 dicembre 2008

Baccalà - stoccafisso o "bacalà" - storia





BACCALA' - STOCCAFISSO O "BACALA'

Parlare di stoccafisso, baccalà o “bacalà” secondo la denominazione veneta, sembrerebbe alquanto semplice perché, generalizzando, si tratta pur sempre di un unico pesce, il merluzzo, pescato nei freddi mari del Nord, venduto nei banchi delle nostre pescherie e trattato con lavorazione e ricette particolari fino diventare quel meraviglioso piatto denominato “bacalà” (con una “c” sola).
In realtà la questione è ben più complessa e si comprende meglio se partiamo dalle origine, da quando cioè, il merluzzo viene pescato e comincia fina da subito a perdere il suo nome originario per acquistarne due: baccalà o stoccafisso, a seconda di come viene trattato. Se viene subito pulito, messo in barile e ricoperto di sale diventa baccalà, secondo alcuni dalla parola fiamminga “kabeljaw” che significa “bastone di pesce”. Il sale serve per essiccarlo allo scopo di farlo mantenere più a lungo. Se invece, dopo essere stato pescato, viene lasciato ad essiccare all’aria, diventa stoccafisso. Il nome stoccafisso secondo alcuni proviene dalla parola norvegese “stockfish”, pesce da stoccare.
Lo stoccafisso viene importato nel Veneto dal navigatore veneziano Pietro Querini che nel 1432 naufragò a Rost, una delle isole Lofoten, al largo della Norvegia e poi, ritornando a Venezia, portò con sé una buona quantità di stoccafissi che, grazie all’ispirazione culinaria di buoni cuochi vicentini, divenne ben presto un piatto tipico di tutta la regione, accompagnato ovviamente dalla polenta.
I vicentini diedero a questa nuova pietanza il nome di “bacalà”, con una “c” sola, ingenerando così un equivoco che si trascina fino ai giorni nostri perché il “bacalà” non è baccalà, ma stoccafisso. Non si è trattato di ignoranza, ma di una difformità terminologica dettata e voluta dal fatto che “bacalà” era certamente più affine alla lingua veneta. Questa denominazione, che ormai è entrata a buon titolo nel lessico gastronomico continua e continuerà a favorire non poca confusione per coloro che abitano fuori dal Veneto, abituati a chiamare baccalà il merluzzo salato o fresco e stoccafisso il merluzzo essiccato ai venti del Nord.
E'importante quindi ricordare che nel Veneto, quando si parla di "bacalà" ci si riferisce al merluzzo essicato (stoccafisso) mentre per Baccalà (con due "c") si intende invece il merluzzo fresco e conservato sotto sale.
I merluzzi si pescano abbondantemente vicino alla Norvegia, l’Islanda, la Groenlandia, e nel mar Baltico tra acque pulite e molto fredde, ma il territorio più ricco è il cosiddetto “Grand bank” al largo di Terranova e delle coste del Labrador. Questa ricca zona di pesca del merluzzo fu scoperta dal grande navigatore Giovanni Caboto mentre, nel 1497, cercava di percorrere una rotta più settentrionale di quella individuata da Colombo e finì proprio nel mezzo di acque poco profonde dove la corrente del Golfo, più tiepida, si incontra con le acque fredde del Labrador formando una zona abitata da diverse specie di pesci di cui i merluzzi sono particolarmente ghiotti. Una volta pescati, i merluzzi vengono trattati per diventare stoccafissi (essiccati all’aria) o baccalà (conservati sotto sale).
Quelli destinati a diventare stoccafissi vengono legati per la coda e appesi all’aria secca e fredda fino a quando verranno selezionati per essere poi divisi secondo qualità e inviati ai mercati di tutto il mondo, tra cui l’Italia, uno dei mercati più importanti che ne consuma circa 3.300 tonnellate all’anno. La qualità più pregiata è quella chiamata “Ragno”, denominazione che prende origine da “Ragnar” il più famoso esportatore norvegese.

IL MERLUZZO. UN PESCE MOLTO APPREZZATO PER LE SUE MOLTE QUALITA' e DETTO ANCHE IL MAIALE DEI MARI anche del merluzzo non si butta nulla.
Il merluzzo è un pesce che si trova con una certa abbondanza, è certamente economico, nutriente, non deperibile e dieteticamente apprezzato perchè i pochi grassi che contiene sono grassi insaturi che invece di far male fanno bene. Tutte qualità che lo hanno fatto apprezzare fin dall'antichità e che hanno spinto molte potenze marinare e commerciali a farsi la guerra per assicurarsi fette sempre più consistenti del mercato del merluzzo.
Di questo pesce non si butta via niente, tanto che per questa caratteristica potrebbe essere paragonato al più nostrano maiale. In Norvegia la testa del merluzzo viene bollita e se ne apprezza anche la lingua e le guance, che vengono gustate fritte. L'olio di fegato di merluzzo, malgrado il cattivo sapore e odore, contiene molte vitamine. Le uova di merluzzo lessate si mangiano tagliate a fette. In Islanda anche la pelle del merluzzo veniva usata per sostituire il pane visto che a quelle latitudini non era possibile coltivare i cereali. Persino l'intestino macinato del merluzzo viene adoperato come mangime per i salmoni d'allevamento. Ma per parlare di cose certamente più gustose, il merluzzo oggi è il principale ingrediente per il "fish and chips" che si mangia in Inghilterra, per i "fishburgers" e per i famosi bastoncini di pesce prodotti e venduti in Italia da una notissima azienda di surgelati. Nel nostro Paese si mangia sia il merluzzo fresco e salato (baccalà) che quello essicato (stoccafisso) ed in ogni regione si apprezzano una varietà di ricette legate alle risorse del territorio e alle tradizioni delle genti che vi abitano.

RICAPITOLANDO:

MERLUZZO = pesce fresco
dopo pescato il merluzzo, la lavorazione lo fa diventare:

BACCALA’ = pescato e liberato della testa, delle pinne, della coda e dell'intestino, viene immediatamente posto all'interno di barili con abbondante quantità di sale che serve per consentirne il prosciugamento e la conservazione.

STOCCAFISSO = il merluzzo viene messo a seccare appeso a rastrelliere ed esposto all'aria con temperature che si aggirano attorno agli zero gradi, si ha lo stoccafisso che, alla fine, appare per la sua durezza, come un "bastone di pesce" ("stock" legno o bastone e "fish" pesce).

BACALA’ = Quando il Querini portò in Italia gli stoccafissi, i vicentini diedero a questa nuova pietanza il nome di “bacalà”, con una “c” sola, ingenerando così un equivoco che si trascina fino ai giorni nostri perché il “bacalà” non è baccalà (salato), ma stoccafisso.
"Ciò, co 'sto bàlsemo,
co 'sto bombon,
anca le moneghe
perde el timon.
"E le nostre donne
non son neanche monache...

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